La moneta umana: il valore della felicità

Pubblicato in Giornale Storico del Centro Studi Psicologia e Letteratura, vol. 16, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2013.

La crisi che stiamo attraversando è globale, interessa il mondo intero nelle sue diverse manifestazioni: l’ecologia, l’economia, la medicina, l’educazione alla cultura, i valori stessi dell’uomo si trovano in uno stato di caos. Il termine globale ci riporta a quel senso dell’enorme che, ci ammonisce Hillman (1999), è un segno dell’assenza degli Dei:

“Che si presenti sotto le immagini delle società multinazionali, degli oceani inquinati o dei grandi mutamenti climatici, l’enormità è la firma del Dio assente. […] Senza il benevolo governo della divinità, l’Onnipotenza, l’Onniscienza e l’Onnipresenza diventano Dei. In altre parole, senza gli Dei tornano i Titani”[1].

L’assenza di limiti promossa dal fenomeno della “globalizzazione” sta piano piano ingoiando la “diversità”, quella qualità dell’essere che rende ogni forma unica e irripetibile, ci sta rendendo una massa indistinta governata dagli stessi valori, miti e bisogni. Un monoteismo colonizzatore e tirannico basato sul culto del denaro, il quale invece di essere uno strumento a servizio del ben-essere, è diventato una meta da perseguire in sé per sé, arrivando ad orientare e manipolare i nostri desideri, cosicché il “prezzo” ha sostituito il senso intrinseco del “valore” (oggettivo e morale). La febbre dell’oro, cresciuta e alimentata nel tempo, ha portato le economie mondiali al collasso provocando in noi esseri umani lo sviluppo di quella che Elena Pulcini (2009)[2] ha definito “soggettività globalizzata”: un modo di essere al mondo caratterizzato da un Io trino – consumatore, spettatore e creatore – afflitto da atomismo e indifferenza, edonismo e conformismo, passività e insicurezza. La Pulcini mette in evidenza come gli individui, guidati da una coazione a fare alimentata dalla globalizzazione tecnologica – l’Io creatore -, abbiano perso progressivamente il concetto di progettualità, a sua volta connesso con il senso e lo scopo di agire per proteggere e promuovere i valori umani ed etici (Andreani, 2011)[3].

Eppure è proprio nei momenti più critici e bui che il pensiero creativo può affiorare per consentire l’approdo ad un nuovo modo di essere e sentire, e la storia che sto per raccontare ha origini antichissime, mitiche che appartengono ad un porto da cui alcuni uomini, gli Argonauti, partirono in cerca di un oggetto in grado di sanare le ferite, il “vello d’oro”, e questi esploratori oggi si sono re-incarnati offrendoci l’esempio di come la condivisione di un’immagine creativa può trasformare la realtà.
Volos è una cittadina della Tessaglia che si trova sulle sponde del mar Egeo e che in antichità aveva il nome di Iolkos, esattamente la città da cui Giasone partì con i suoi compagni a bordo della nave Argo. Quando la crisi finanziaria ha raggiunto proporzioni disperate un gruppo di cittadini ha ideato un progetto per aiutare la comunità ad uscire dalla crisi: la cosiddetta Rete TEM, ovvero una forma di economia alternativa all’euro, basata sul TEM[4] (acronimo di “unità di scambio locale”) in cui i membri aderenti (ormai più di 1000) possono scambiarsi beni e servizi.
Per entrare a far parte della rete è necessario iscriversi al sito internet (http://www.tem-magnisia.gr/) e poi offrendo beni e/o servizi si accumula credito. Oltre all’acquisto nei negozi e nei mercati rionali con il TEM è possibile pagare lezioni con insegnanti, cure mediche e veterinarie, riparazioni di automobili, il parrucchiere e molti altri servizi. L’aspetto più importante della rete è che le persone possono mettere a disposizione degli altri le proprie competenze ed essere remunerate per questo.

Ci troviamo di fronte ad un progetto sociale, nato per riequilibrare il rapporto delle persone con il denaro e che aiuta il singolo a sentirsi parte di una comunità collaborativa e solidale. Solidarietà e collaborazione sono dunque i valori ispiratori – assenti quando si parla di finanza e di mercato globale – che richiedono sicuramente una maggiore consapevolezza (di ciò che si fa e di come lo si mette in pratica) rispetto all’immobilismo di chi vuole restare ancorato a sistemi sociali che hanno dimostrato il proprio fallimento.
Con la rete le persone di Volos stanno riscoprendo una coesione sociale che ha dato vita ad altri progetti di sostegno paralleli (come ad esempio la cucina solidale).

Le caratteristiche che fanno del progetto TEM una modalità efficace e creativa per affrontare la crisi sono: 1) la capacità di “fare immagine”, ovvero generare una visione alternativa della realtà, condividerla con gli altri e valorizzarla fino a renderla realtà 2) la volontà di restituire al “potere” il suo significato che, ci ricorda Paolo Nori (2010)[5], “dovrebbe essere quello che uno è capace di fare”, infatti le persone che aderiscono alla rete sono messe in condizione di offrire le proprie capacità per ottenere ciò che altri hanno messo a disposizione secondo le possibilità 3) la solidarietà e la collaborazione come pratiche di relazione per garantire il benessere non solo dei singoli ma dell’intera comunità, come linee guida da esportare oltre i confini attuali.

Grazie a questa prospettiva la moneta torna non solo ad essere un mezzo per ottenere benefici (dai più basilari ai più complessi) ma diventa “umana”, ovvero costituita da ciò che ogni singolo individuo può mettere a disposizione della comunità, secondo le sue specifiche e uniche abilità. La dimensione psicologica di tale organizzazione è così forte da rendere evidente come la povertà non sia equivalente all’assenza di denaro, ma alla condizione di chi non ha nulla da offrire al mondo. Marita Houpis, una delle fondatrici del TEM, ha detto:

“La cosa più emozionante che si prova quando si inizia è questo senso di collaborazione…Hai molto di più di quanto dice il tuo conto in banca. Hai la tua mente e le tue mani”.

L’esperienza di Volos è illuminante perché dà corpo all’etica della cura sostenuta dalla filosofa Joan Tronto (2006)[6] secondo cui è necessario restituire valore alle attività umane di cura, nella dimensione pubblica e in quella privata, per trasformare i nostri valori attraverso un processo che è, allo stesso tempo, politico e morale (Andreani, 2011)[7].
La “pratica della cura” (il termine pratica è legato strettamente all’agire, al fare in termini concreti) consta di 4 fasi (Tronto, 2006)[8]:

  • Interessarsi a: questa fase è innanzitutto legata all’attenzione, la facoltà cognitiva che ci permette di selezionare e focalizzare determinati stimoli, quindi si passa al riconoscimento dell’esistenza di un bisogno che, da questo momento, potrà essere oggetto di valutazione ed eventualmente soddisfatto.
  • Prendersi cura di: è la responsabilità assunta da chi intende riconoscere e soddisfare il bisogno espresso dall’Altro.
  • Prestare cura: l’insieme di azioni tese a rispondere ai bisogni dei destinatari della cura.
  • Ricevere cura: questa fase è importante perché riconosce la reciprocità e l’interdipendenza tra gli individui come valori interni all’azione, e prevede che il destinatario della cura sia in grado di rispondere all’intervento che riceve, dimostrando infine la bontà del processo di cura nelle sue diverse fasi.

La pretesa titanica dell’uomo contemporaneo che si vuole indipendente e autonomo a tutti i costi – finendo per essere paranoico, solo, insicuro e indifeso – si sta rivelando tragicamente fallimentare, così siamo costretti a prestare di nuovo attenzione ai valori orizzontali di interdipendenza sociale, sostegno ed etica della cura.

Nel saggio “L’epoca delle passioni tristi” (2003)[9] Miguel Benasayag e Gerard Schmit ci ricordano di come Aristotele descrisse la condizione di schiavo:

“… è colui che non ha legami, che non ha un suo posto, che si può utilizzare dappertutto e in diversi modi. L’uomo libero è invece colui che ha molti legami e molti obblighi verso gli altri, verso la città e verso il luogo in cui vive”[10].

Gli autori ritengono che per uscire dalla crisi contemporanea sia necessario sviluppare la “clinica del legame”, un approccio terapeutico che contrappone alla cura dell’individuo nel suo singolare disagio – il quale, per essere “normale”, dovrebbe essere forte, solo e in grado di “dominare” sul mondo che lo circonda – l’interesse al soggetto compreso all’interno della comunità, i suoi legami relazionali e codici culturali (paese di origine, sicurezza sociale, cultura condivisa etc.). In questo modo uscire dalla crisi viene a coincidere con la capacità di stabilire legami costruttivi, in cui i bisogni dei singoli trovino attenzione e riconoscimento per un fine etico comune e l’esperienza del TEM sta dando corpo proprio a questi assunti.

Un’altra caratteristica chiave della valuta alternativa è il fatto di essere basata sul principio della “qualità” piuttosto che della “quantità”: le persone che aderiscono alla rete TEM sono coinvolte e direttamente responsabili di ciò che riescono a offrire in termini di unità di scambio. Non hanno più a che fare con un quantitativo di moneta, spogliato del suo valore inflazionato, ma è la qualità di ciò che hanno da offrire a rendere il loro bene o servizio desiderabile ed efficace sul piano personale e comunitario. Le parole di Robert Pirsig illustrano questo modo di intendere gli scambi di valore:

“Qualsiasi lavoro tu faccia, se trasformi in arte ciò che stai facendo, con ogni probabilità scoprirai di essere divenuto per gli altri una persona interessante e non un oggetto. Questo perché le tue decisioni, fatte tenendo conto della Qualità, cambiano anche te. Meglio: non solo cambiano anche te e il lavoro, ma cambiano anche gli altri, perché la Qualità è come un’onda. Quel lavoro di Qualità che pensavi nessuno avrebbe notato viene notato eccome, e chi lo vede si sente un pochino meglio: probabilmente trasferirà negli altri questa sua sensazione e in questo modo la Qualità continuerà a diffondersi” (Pirsig, 1974)[11].

Il ritorno ai valori della solidarietà e collaborazione, la promozione della qualità delle azioni condivise genera paradossalmente nelle persone un vissuto emotivo per cui, in tempi di crisi globale, sembra non esserci posto: la felicità.
Crisi e felicità sembrano due aspetti antitetici, ma se leggiamo la realtà nel profondo riusciamo a comprendere come siano due nessi interdipendenti e indispensabili l’uno all’altro: se dimentichiamo di sviluppare il benessere intorno a noi entriamo in crisi, così come per uscire dalla crisi è necessario ripensare alle azioni, ai vissuti e ai modelli globali per sviluppare benessere. Un binomio talmente potente che nell’ultimo decennio anche l’economia, regno incontrastato della “quantità”, ha iniziato a guardare al mondo delle emozioni e lo ha fatto grazie all’economista Amartya Sen, (premio Nobel 1998) e allo psicologo Daniel Kahneman (premio Nobel nel 2002) i quali hanno dato inizio ad un filone di ricerca chiamato “economia della felicità”, ovvero un’economia basata sull’analisi delle emozioni primarie dell’uomo – paura, speranza, tristezza, felicità – e che fa coincidere lo sviluppo economico con un miglioramento della qualità della vita (prevenzione e cura della malattia, possibilità di realizzarsi lavorativamente in base alle proprie aspirazioni, diminuzione della criminalità etc.) e non più solo con l’aumento/diminuzione del reddito.

La felicità non è più letta come una mera utopia o meta raggiungibile solo sul piano individuale, ma diventa oggetto di indagine delle scienze economiche come un indicatore per capire dove siamo e la direzione che dobbiamo prendere per assicurare alle diverse società il benessere, che non può più essere globalizzato (uguale per tutti, in ogni luogo, attraverso i medesimi strumenti), ma specifico delle culture sociali, del territorio e dell’ambiente che le contiene, della storia che le ha attraversate.
La scienza si è resa consapevole di quanto la felicità sia moto propulsivo del mondo, ed è diventata un tema talmente cruciale e trans-disciplinare (economia, psicologia, ambiente, educazione, politica) che il “Festival delle Scienze” di Roma (17-20 Gennaio 2013) quest’anno ha come titolo proprio “La Felicità”.

Anche la psicologia deve il suo debito alla questione della felicità: la psicologia clinica si è sempre occupata, dalle sue origini, del malessere dell’uomo, ha concentrato i suoi sforzi nel curare la psiche turbata, bloccata, alienata degli individui; ciò di cui non si è mai occupata – almeno fino agli ultimi venti anni – è di come sia possibile accrescere il senso di benessere e di felicità nelle persone, a prescindere da un disagio conclamato. Martin Seligman ed i suoi collaboratori, a partire dagli anni ’90, hanno indagato proprio questo punto cieco inaugurando un filone di ricerca chiamato “Psicologia Positiva”, che si propone di studiare, oltre le debolezze, le potenzialità dell’essere umano, al fine di favorire lo sviluppo di nuove competenze in grado di incrementare il benessere complessivo nella vita delle persone (Seligman, 2002)[12].

E’ tempo di affrontare questa gravissima crisi facendo leva proprio su ciò che sembra mancare, ovvero il valore della felicità, qualcosa che al contrario di ciò che ormai comunemente si pensa, non può essere identificato con il possesso di denaro, ma che sicuramente il denaro può aiutare a realizzare.
Vittorino Andreoli, nel saggio “Il denaro in testa” (2011)[13], ci ricorda i bisogni basilari per la costruzione della felicità: l’uomo ha bisogno di condividere la sua esistenza con gli altri e di sentirsi “sicuro” all’interno dei rapporti primari; ha bisogno di sentirsi utile e riconosciuto nel suo contributo al mondo; ha bisogno di uguaglianza; ha bisogno di coltivare desideri; ha bisogno di immaginare e condividere le proprie idee; ha bisogno di giocare; ha bisogno di esperire la frustrazione come la gioia e il piacere. Eppure nessuno di questi bisogni può essere acquistato con il denaro. La speranza è che lavorando sulla costruzione della felicità grazie alle nostre mani e alle nostre menti, il mondo possa diventare davvero un luogo di gioiosa passione.

[1] Hillman J. (1999), Politica della bellezza, Moretti e Vitali Editori s.r.l., Bergamo

[2] Pulcini E. (2009), La cura del mondo. Paura e responsabilità nell’età globale, Bollati Boringhieri, Torino.

[3] Andreani M. (2011) Twilight.. Filosofia della vulnerabilità, EV Editrice, Macerata

[4] N.d.A. 1 TEM corrisponde ad 1 euro

[5] Nori P. (2010) I malcontenti, Giulio Einaudi Editore s.p.a., Torino.

[6] Tronto J. (2006), Confini morali, un argomento politico per l’etica della cura, Diabasis, Reggio Emilia

[7] Andreani M. (2011) Twilight.. Filosofia della vulnerabilità, EV Editrice, Macerata

[8] Tronto J. (2006), ibidem

[9] Benasayag M., Schmit G. (2003), L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli Editore, Milano.

[10] ivi

[11] Pirsig R. (1974), Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, Adelphi, Milano.

[12] Seligman M. (2002), La costruzione della felicità, Sperling e Kupfer Editori.

[13] Andreoli V. (2011), Il denaro in testa, Rizzoli Editore, Milano.