La religione di Brian Weiss

Pubblicato in Giornale Storico del Centro Studi Psicologia e Letteratura, vol. 13, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2011.

Invictus

Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro,
ringrazio gli dei chiunque essi siano
per l’indomabile anima mia.

Nella feroce morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l’Orrore delle ombre,
eppure la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita,
io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.

William Ernest Henley[1]

Fin dalla notte dei tempi l’uomo ha pensato a sé stesso come in rapporto ad una dimensione trascendente e divina. La fede è un sentimento complesso e dal punto di vista epistemologico non è possibile giungere a conclusioni inequivocabili a riguardo. Come clinici e studiosi della mente noi non possiamo mai affidarci a criteri rassicuranti di verità/falsità con i quali liquidare le esperienze e i fenomeni che vanno al di là della nostra personale esperienza: se una persona si sente in contatto con gli alieni mi sta raccontando il suo modo di sentire e percepire, la sua realtà; il punto da cui partire allora sarà eludere il pensiero “tutto questo è falso, è frutto di un delirio”, accettando il confronto con quella che il filosofo Humberto Maturana ha descritto come “realtà con l’oggettività messa fra parentesi” (Maturana, 1993)[2] in base alla quale, posti di fronte a due tesi opposte e contrastanti, non possiamo trovare una soluzione giudicando tra ciò che è vero e ciò che è falso, fra chi ha “torto” e chi ha “ragione”, o in una presunta via di mezzo fra questi, ma nell’assumere una prospettiva in cui il conflitto sia spiegato come un operare dell’osservatore in differenti, ma non incompatibili, domini di esistenza (Giordano, 1999)[3]. Nessuno può dimostrare che esista o meno una vita nell’aldilà: tutto ciò che la psicologia può fare è indagare i motivi che portano l’uomo a porsi certe domande e che l’essere umano si sia sempre interrogato sull’esistenza di una o più divinità e sulla possibilità di una vita dopo la morte, attraverso la reincarnazione, è un “fatto” con il quale dobbiamo fare i conti.

Il mito della reincarnazione o metempsicosi (dal greco μετεμψύχωσις, trasferimento o passaggio dell’anima) ha origini antichissime e purtroppo i ricercatori non hanno rinvenuto fonti che enunciassero precisamente la metempsicosi come teoria, né conosciamo come si articolasse la credenza nella trasmigrazione delle anime. Le prime testimonianze risalgono al movimento religioso dell’antica Grecia (VI sec. a.C.) fondato, secondo la tradizione, dal poeta tracio Orfeo e chiamato orfismo.

L’orfismo si sviluppò in seno al culto di Dioniso, probabilmente al fine di rovesciare in senso ascetico e catartico la fuga dal mondo predicata dai seguaci del dio (Rhode, 1894)[4]. Al centro dei misteri orfici vi era l’idea dell’anima come immortale e costretta, dopo la morte, a reincarnarsi in un altro corpo al fine di espiare la propria colpa fino a raggiungere, attraverso le successive vite, la perfezione divina. Successivamente, intorno al 530 a.C., Pitagora (575-495 a.C.) fondò la sua scuola ispirandosi proprio alle comunità orfiche: secondo Pitagora ed i suoi adepti, la trasmigrazione dell’anima dopo la morte era uno strumento necessario di purificazione che si verificava ciclicamente, in base al compimento di un ciclo astronomico dell’universo. In entrambe le tradizioni emerge quindi l’idea di un’anima “viva” prima di incarnarsi nel corpo.

L’idea della reincarnazione fece il suo ingresso nel campo della filosofia con Platone (427-347 a.C) il quale, rifacendosi proprio alle tradizioni orfiche e pitagoriche, espose all’interno del Fedro[5] la sua visione della reincarnazione attraverso il mito del carro e dell’auriga. Il filosofo greco immaginava l’anima come una biga alata che, in seguito alla morte, cerca di raggiungere il mondo della conoscenza assoluta, l’Iperuranio. Tuttavia a causa della propria istintualità l’anima, rappresentata da un cavallo nero, non riesce ad elevarsi spiritualmente ed è perciò condannata, precipitando verso il basso, a reincarnarsi. L’anima “caduta” si incarnerà in qualcuno lontano dalla saggezza, mentre solo a pochi eletti sarà dato rinascere sotto forma di saggio o filosofo. Tale prospettiva escatologica, per Platone, è strettamente legata alla teoria della conoscenza secondo cui conoscere significa ricordare, poiché l’apprendimento è dato dal rievocare una conoscenza innata e da sempre contenuta all’interno dell’anima, ma perduta con l’atto della nascita.

Attraversando lo spartiacque storico rappresentato dalla nascita di Gesù Cristo, nel II e III secolo d.C. ritroviamo il tema della metempsicosi all’interno delle speculazioni del movimento filosofico-religioso chiamato gnosticismo (dal greco γνώσις=conoscenza) che professava una dottrina della salvezza tramite la conoscenza. La salvezza dell’anima secondo il corpus filosofico gnostico dipende dal raggiungimento di una forma di conoscenza illuminata e superiore, frutto di un percorso di ricerca della Verità e la metempsicosi è considerato un mezzo necessario all’anima per espiare le proprie colpe ed aprirsi alla “conoscenza totale”.

Tra i sapienti gnostici particolarmente importante è la testimonianza di Carpocrate, un filosofo nato ad Alessandria di Egitto di cui abbiamo poche notizie certe. Egli riteneva che l’uomo dopo la morte dovesse, reincarnandosi più volte, accedere ad ogni tipo di esperienza al fine di elevarsi alla conoscenza superiore e liberare l’anima dalla schiavitù delle vite successive, così come era avvenuto per Gesù Cristo. Il “ciclo dei ritorni” secondo il filosofo costringe l’anima ad immergersi nelle circostanze più disparate affinchè questa possa ricordare da dove viene (passato), dove si trova (presente) e dove va (futuro).       Per Carpocrate non possiamo mai essere assolti da peccati che non abbiamo commesso, quindi per uscire dal ciclo della reincarnazione l’anima deve attraversare tutte le forme del male e ogni genere di passione (Antonelli, 1992)[6].

Jung stesso (1917)[7] ha riconosciuto – anche se non senza contraddizioni – l’esistenza di una sorprendente relazione tra gli aspetti fondanti della psicologia analitica e il simbolismo gnostico, sia per quanto riguarda la percezione dell’inconscio come fonte di conoscenza, sia per la considerazione del male quale componente salvifica (Antonelli, 1992)[8].

Oltre che nella tradizione greca ed europea ritroviamo il concetto di reincarnazione all’interno delle grandi religioni orientali dell’induismo e del buddhismo.                               Il buddhismo spiega ciò che avviene dopo la morte attraverso il ciclo delle rinascite o samsara, sostenendo che non ci sia un’anima o spirito individuale che possano trasmigrare in un altro corpo. Le rinascite successive vengono stabilite in base alla legge di causa-effetto (karma) in virtù della quale l’uomo raccoglierà ciò che semina.                Anche l’induismo si affida al karma inteso come responsabilità nel realizzare la propria natura divina attraverso l’azione consapevole e al potere del samsara, il ciclo delle incarnazioni, in relazione al quale i desideri accumulati nelle esperienze sono alla base del fenomeno del ritornare in un altro corpo, fino al completo dissolvimento di ogni desiderio.

La breve panoramica sulla storia della reincarnazione a cui ho fatto riferimento, illustra come l’idea di una vita “carnale” dopo la morte sia sempre stata presente nella cultura dell’uomo e interpretata come uno strumento di crescita o di salvezza spirituale.

Agli inizi del 1900 con l’avvento della psicoterapia anche gli studi analitici iniziarono ad essere popolati dai sogni, dalle fantasie e regressioni ipnotiche di pazienti che sentivano di aver vissuto esperienze di vita appartenenti ad altre epoche. Sigmund Freud per primo, penetrando col grimaldello psicoanalitico all’interno dell’universo di desideri e timori inconsci dell’umanità, interpretò la fede dell’uomo in una vita dopo la morte come il tentativo di arginare l’angoscia legata all’idea del trapasso, in quanto l’essere umano non può rappresentarsi la sua stessa morte. Per Freud, quindi, l’idea della reincarnazione servirebbe all’uomo come meccanismo di difesa, per non sentirsi completamente perso e annichilito dalla prospettiva della fine e quindi immaginare una vita successiva lenirebbe il timore dell’ignoto (Freud, 1915)[9]. Carl Gustav Jung si confrontò anch’egli col tema della reincarnazione, adottando un approccio molto differente dall’illustre collega viennese; in un’intervista del 1958 in cui gli veniva chiesto se fosse possibile pensare all’immortalità della coscienza, egli si espresse così:

“…la questione dell’immortalità è così pressante, di una tale urgenza, che bisognerebbe comunque tentare una risposta. […] Naturalmente voi potreste obiettare che sono solo fantasie compensatorie che non possiamo soffocare, radicate sì nella nostra natura (tutta la vita aspira all’eternità), ma ben lungi dal costituire una prova.

Però dobbiamo anche dirci che, sebbene questa obiezione entro certi limiti sia giusta, noi possediamo prove inconfutabili che talune parti, se non altro, della nostra psiche non sono soggette alle leggi dello spazio e del tempo, altrimenti le percezioni al di fuori dello spazio e del tempo sarebbero assolutamente impossibili, e invece esistono, avvengono. […]

Il concetto di immortalità non ci dice nulla sull’idea ad esso correlata di rinascita o metempsicosi; anche in questo caso dobbiamo dipendere dai sogni, i quali ci danno qualche indizio. Ma è opportuno non dimenticare che un continente altamente civilizzato (nel senso di civiltà spirituale) come l’India crede fermamente nella trasmigrazione delle anime e considera assiomatica l’idea della reincarnazione.[…]

Certo, oggi ci sono anche da noi molte persone che credono nella reincarnazione. Forse è solo un segno della nostra barbarie il fatto che non pensiamo in quel modo e che incominciamo solo adesso a prendere seriamente queste idee.” (McGuire, Hull, 1977)[10].

“…è chiaro che tutti moriremo un giorno e questo è il triste finale di tutto: ma ciò nonostante c’è qualcosa in noi che a quanto pare non ci crede. Ma questo è solo un dato, un dato psicologico, non dimostra niente. È così e basta…[…] ma quando si pensa in un certo modo, si sta molto meglio e secondo me se si pensa come ci porta a fare la natura, il nostro modo di pensare è giusto.” (McGuire, Hull, 1977)[11].

Nell’articolo “Gli stadi della vita” (1930)[12] Jung spiega:

“Come medico, io sono convinto che è più igienico, per così dire, vedere nella morte una meta a cui tendere, e che vi è qualcosa di insano nella resistenza che noi le opponiamo e che toglie alla seconda metà della vita il suo scopo.

Perciò trovo molto ragionevoli tutte quelle religioni che hanno una meta ultraterrena.[…]

Pensando che la vita oltrepassi i confini della morte, noi agiamo secondo il senso della vita anche se il significato di questa idea ci sfugge.

In sintesi Jung sostiene che 1) sia impossibile confermare o confutare l’esperienza della reincarnazione dal punto di vista scientifico; 2) la psiche non è soggetta alle leggi dello spazio e del tempo che conosciamo, così nulla possiamo dire circa la sua evoluzione; 3) pensare ad una vita dopo la morte corrisponde ad un moto naturale della nostra psiche. Per quanto riguarda l’origine delle idee religiose e della reincarnazione Jung (1939)[13] si riferisce agli archetipi:

“[…] al mondo effimero della nostra coscienza essi comunicano una vita psichica sconosciuta, appartenente ad un lontano passato; comunicano lo spirito dei nostri ignoti antenati, il loro modo di pensare e di sentire, il loro modo di sperimentare la vita e il mondo, gli uomini e gli dei. L’esistenza di questi stati arcaici costituisce presumibilmente la fonte della credenza nella reincarnazione e nella credenza di vite anteriori”.

Mentre per Freud l’idea della reincarnazione è dunque frutto di un meccanismo di difesa, per Jung essa affiora alla coscienza dell’uomo come prodotto naturale dell’influenza del mondo archetipico sull’esistenza. Successivamente in ambito psicoanalitico/psichiatrico il tema della vita oltre la morte venne lentamente insabbiato e relegato nell’ambito nosografico come espressione di una sintomatologia nevrotica o, nel peggiore dei casi, psicotica.

Questo genere di atteggiamento da parte dell’intellighenzia clinica non è un caso isolato, bensì ha investito anche la tecnica ipnotica e l’interpretazione dei sogni, ovvero tutti quei fenomeni che più profondamente hanno a che fare con la natura stessa della psiche e con gli elementi fondanti della psicoterapia.

I motivi in relazione a quanto detto sono molteplici: in primo luogo vi è tra i clinici il potente desiderio di riscattare un innato sentimento di inferiorità della psicologia rispetto alla medicina e per fare questo la psicoterapia deve sempre di più di adeguarsi a criteri scientifici di riproducibilità, misurabilità e oggettività: la psicoterapia dunque deve essere “breve”, incentrata sul sintomo – meglio se di matrice cognitivo-comportamentale – e avvalersi di appositi test, studiati per specifiche problematiche. Chiaramente sogni, ipnosi e discorsi sulle vite passate non rientrano nei criteri scientifici, non sono controllabili e quindi vanno soppressi poiché parlano di una dimensione che, come la psiche, è complessa, misteriosa, potente e indefinibile. Proprio in risposta a questa posizione Jung ebbe modo di spiegare:

Secondo me il primo dovere dello psicologo scientifico sta nel mantenersi aderente ai fatti vitali della psiche, nell’osservare con esattezza questi fatti, aprendosi in tal modo a quelle esperienze più profonde delle quali non ha assolutamente conoscenza.” (Jung, 1917)[14]

e in questo senso i sogni, la trance e i discorsi sulle vite precedenti sono “fatti” che le persone esperiscono e raccontano spontaneamente in terapia. Un altro motivo può essere ravvisato nel timore di ciò che non conosciamo e nella forza dirompente delle emozioni: parlare di sogni, vivere la trance o interrogarsi sulle vite precedenti apre le porte a vissuti emotivi molto forti, che si teme possano travolgere la diade analitica (così come avvenne per Freud mentre utilizzava l’ipnosi); in realtà il malessere individuale nasce proprio dalla perversione delle emozioni, il cui scorrere naturale viene ad essere forzatamente interrotto o deviato e solo tramite l’ascolto di questi contenuti è possibile ripristinare il contatto curativo con il mondo interno. Nonostante tutte queste resistenze, negli ultimi anni in ambito psichiatrico il tema della reincarnazione è tornato ad essere fonte di ricerca e dibattito soprattutto grazie alle esperienze raccontate dal Dr. Brian Weiss nei suoi libri che, divenuti best seller[15], hanno contribuito a generare intorno a lui un grande movimento di curiosi e “seguaci” in tutto il mondo.

Brian Wiess è nato nel 1944 a New York, dopo essersi laureato con lode in Medicina alla Columbia University ha intrapresp una brillante carriera come psichiatra e psicoterapeuta fino a diventare Preside del Dipartimento di Psichiatria del Mount Sinai Medical Center di Miami, in Florida. Intorno agli anni ’80 egli si trovava all’apice del riconoscimento professionale quando entrò nel suo studio una giovane donna di nome Catherine afflitta da severe fobie (temeva l’acqua, il buio, aveva paura di rimanere soffocata): questa terapia segnò un profondo cambiamento non solo nella vita della paziente, ma in quella di Weiss come uomo e psicoterapeuta.

Weiss racconta[16] che per circa 18 mesi aveva cercato di aiutare Catherine con la psicoterapia ma i suoi sintomi non erano affatto regrediti, al contrario erano arrivati al punto da imporle gravi limitazioni nella vita di tutti i giorni. A quel punto lo psichiatra decise di utilizzare con la paziente l’ipnosi per esplorare e cogliere eventuali traumi rimossi dalla sua coscienza: dopo averla fatta lentamente scivolare in trance le chiese di ritornare al tempo in cui per la prima volta erano comparsi i sintomi e Catherine si lasciò andare ad un racconto incredibile, nel quale lei si vedeva “incarnata” nel corpo di una giovane donna egiziana di nome Aronda vissuta nel 1863 a.C.; la paziente descrisse la sua vita e quella del villaggio in cui viveva, rievocando anche il momento della propria morte per annegamento, avvenuta a 25 anni insieme alla piccola figlia di nome Cleastra, a causa di una violenta inondazione.

Né Weiss né Catherine credevano che quanto emerso dall’ipnosi potesse avere a che fare con qualcosa di diverso da una fantasia, ma ciò che avvenne in seguito li costrinse a riflettere: dopo una settimana dalla regressione alla vita di Aronda, la paziente perse totalmente alcune delle sue gravi fobie e ben presto fu in grado di rievocare, sempre attraverso l’immersione ipnotica, altre vite precedenti i cui traumi avevano prodotto i sintomi che nella vita attuale Catherine ancora pativa, con il risultato che tutti i suoi disagi psicologici sparirono in breve tempo.

Weiss racconta di aver passato un periodo molto sofferto a causa del conflitto che sentiva tra il suo essere un rigoroso psichiatra, educato ai criteri scientifici e l’orizzonte metafisico che si andava sempre più imponendo al suo sguardo. Durante una delle sue regressioni Catherine iniziò a parlare direttamente con il Dott. Weiss raccontandogli dei dettagli della sua vita personale che solo lui poteva conoscere e che riguardavano nello specifico la morte di suo padre e la morte del suo primogenito Adam, spirato ventitré giorni dopo la nascita.

A quel punto lo psichiatra si rivolse a Catherine chiedendo come facesse a sapere tutti questi particolari della sua vita e la donna rispose che erano gli “Spiriti Maestri” a trasmetterle quei messaggi: essi venivano descritti come anime estremamente evolute, con il compito di offrire dei messaggi sullo scopo della nostra vita sulla terra, sulla vita, la morte, l’amore e la speranza. In particolare gli “Spiriti Maestri” confermavano l’esperienza della reincarnazione dicendo attraverso Catherine:

Siamo noi a scegliere quando entrare nel nostro stato fisico e quando lasciarlo. E capiamo pio quando abbiamo portato a termine ciò per cui siamo stati mandati quaggiù. Sappiamo quando il tempo finisce e voi avrete accettato la vostra morte.

Perché a quel punto avrete capito che da questa vita non potrete ottenere niente di più. Così quando avrete avuto modo di riposare e di riorganizzare la vostra anima, vi sarà consentito di scegliere se rientrare nello stato fisico…”[17].

Questo straordinario avvenimento convinse Weiss a ritenere quanto vissuto da Catherine durante le regressioni come qualcosa di reale, proveniente da una misteriosa dimensione spirituale che li aveva scelti entrambi per innescare una rivoluzione spirituale basata sull’amore, quella che io ho definito “la religione di Brian Weiss”.

Parlo di religione (dal verbo latino religare = unire insieme) perché i libri e i racconti dello psichiatra americano ci mettono in contatto con una forza divina che vuole promuovere la crescita e il benessere psichico attraverso la consapevolezza del significato di vita e morte su questa terra:

L’ultima risposta è l’amore. Il quale non è un’astrazione, ma un’energia effettiva, ovvero un ampio spettro di energie, che tu puoi creare e conservare nel tuo essere. Semplicemente amando. È così che cominci a entrare in contatto con Dio dentro te stesso. Apriti all’amore. Esprimi il tuo amore. […] Non lasciare che la depressione o l’ansia frenino la tua crescita.

Depressione vuol dire perdita di prospettiva, oblio, tendenza a dare tutto per scontato. Ristabilisci l’ordine dei tuoi valori. Ricorda tutte quelle cose che non debbono essere date per scontate. Sappi cambiare prospettiva e rammenta ciò che è importante e ciò che lo è meno. Esci dalla carreggiata. Ricordati di sperare. 

Ansia vuol dire essersi smarriti nel proprio io. Vuol dire aver perso i propri confini. Nasce dal ricordo oscuro di una carenza d’amore, da un sentimento d’orgoglio ferito, da una perdita di pazienza e di pace. Ricorda che non sei mai solo![18].

Un altro aspetto che avvicina l’esperienza di Brian Weiss a quella religiosa è il grandissimo riscontro di pubblico che hanno ottenuto i suoi libri e le sue apparizioni mediatiche. Le richieste di una consultazione con Weiss sono talmente tante che ogni anno il suo staff organizza seminari e workshop di gruppo in tutto il mondo – alcuni su navi da crociera – durante i quali le persone, sotto le sue indicazioni, cercano di esperire una trance regressiva per scoprire chi fossero in un’altra vita e guarire da malesseri psicologici e psicosomatici.

Per quanto riguarda il processo di regressione Weiss sostiene che non sia importante stabilire se esso riguardi l’immaginazione, la fantasia, la metafora, il ricordo o la combinazione di tutti questi aspetti: è importante che la persona si abbandoni all’esperienza lasciando che le immagini e le emozioni emergano dalle profondità del mondo interno:

Quando si individua il modello ricorrente e se ne comprendono le cause, la catena può venire spezzata. […] Perché la tecnica e il processo della terapia della regressione diano risultati, non occorre che terapeuta e paziente credano nelle vite precedenti.

Tuttavia si è riscontrato che solo tentando questa via si raggiungono spesso dei miglioramenti clinici. E quasi sempre si verifica una crescita spirituale.” (Weiss, 1996) [19].

Le esperienze raccontate dallo “psichiatra della regressione” destano sempre reazioni contrastanti: alcuni si sentono profondamente toccati dai suoi libri e vorrebbero sperimentare in prima persona il ritorno alla vite precedenti, altri invece restano scettici o lo considerano un abile manipolatore di umane debolezze. Quello che sappiamo è che un numero sempre maggiore di persone si rivolgono all’ipnoterapia per tentare di regredire e riuscire a trovare una cura per i propri disagi psicologici attuali.

Perché l’uomo ha sempre pensato alla reincarnazione come strumento di guarigione e crescita spirituale? Io credo che il bisogno dell’uomo di immaginare una vita oltre la morte attinga a delle caratteristiche peculiari della psiche: Jung ha messo in evidenza come la dimensione psichica non risponda ai criteri spazio-temporali definiti dalle leggi della fisica. L’uomo intuisce e fa esperienza di energie e capacità che vanno al di là della sua capacità di comprensione: questo lo vediamo ad esempio durante le sedute di ipnosi, quando le persone riescono ad accedere a capacità psicofisiche e di auto-guarigione, impossibili da replicare durante il normale stato di coscienza.

C’è qualcosa dentro di noi di misterioso e potente, per alcuni può essere il manifestarsi di Dio, per altri ci sono ragioni cognitive e adattive spiegabili scientificamente. Non è importante verificare se la fiducia e l’adesione a un sistema di pensiero, religioso o laico che sia, corrisponda al “vero”, ma è necessario che la mia fiducia nel metodo mi aiuti a vivere la vita in maniera soddisfacente e costruttiva:

“[…] quando mi sento bene e sono soddisfatto nessuno può dimostrarmi che non lo sono.

Gli argomenti logici non incidono sui sentimenti di cui io faccio esperienza immediata […] e l’immortalità è uno dei fatti che concernono i sentimenti.” (Jung, 1935)[20].

Un altro aspetto che a mio avviso spinge le persone a immaginare una vita oltre la morte è la questione della conoscenza: lo gnostico Carpocrate, come abbiamo visto, sosteneva che per acquisire una crescita spirituale fosse necessario attraversare tutte le esperienze possibili, tornando in vita nei panni di un altro corpo. Anche in psicoterapia noi cerchiamo di costruire col paziente scenari e linguaggi differenti, per aiutarlo a conoscere i suoi bisogni emotivi e quelli altrui: immaginiamo forme di esistenza alternative dove sia possibile sperimentare, con gli stessi occhi, una realtà differente. L’immaginazione non resta, quindi, una pura astrazione impregnata di desiderio irrisolto, ma costituisce il presupposto necessario per l’atto creativo e la concretizzazione del cambiamento sperato.

L’idea della regressione alle vite precedenti, forse, nasce per aiutarci a visualizzare noi stessi nei panni di un’altra persona, al fine di esperire dei modi di vita alternativi da confrontare con l’esistenza che stiamo scegliendo nel presente: se il peccato e il dolore hanno a che fare con ciò che è separato (Jung, 1935)[21], occultato, segreto allora la possibilità di immedesimarsi con altre vite può aiutare l’uomo a ricongiungere quelle parti interne che dentro di sé sono odiate e scisse.

La reincarnazione può essere dunque interpretata come un esercizio di integrazione dell’Ombra, di tutte le esperienze negative, che l’uomo si rappresenta con l’obiettivo di amplificare la sua capacità di vivere l’esistenza. Assecondare le potenzialità costruttive del nostro mondo interno ci permette di realizzare la reincarnazione su questa terra, cioè morire e rinascere ogni giorno, cambiando occhi e sembianze, restando fedeli alla nostra anima invincibile.

[1] Henley W. E., 1875, Invictus, A book of verses, Nabu Press.

[2] Maturana H., 1993, Autocoscienza e Realtà, Raffaello Cortina Editore, Milano.

[3] Giordano G., 1999, La psicoterapia come atto etico in una dimensione transcontestuale – Note per una messa in scena costruttivistica tratto dal sito Psychomedia: http://www.psychomedia.it/pm/modther/modtec/giordano4.htm

[4] Rhode E., 1894, Psiche. Culto delle anime e fede nell’immortalità presso i Greci, trad. it. 2006, Laterza.

[5] Platone, Fedro, trad.it 2000, Bompiani.

[6] Antonelli G., 1992, Jung e lo Gnosticismo, in (a cura di A. Carotenuto) Trattato di Psicologia Analitica, Utet, Torino.

[7] Jung C.G., 1917, Psicologia dell’inconscio, in Opere vol. 7, Bollati Boringhieri, Torino.

[8] Antonelli G., 1992, Jung e lo Gnosticismo, in (a cura di A. Carotenuto) Trattato di Psicologia Analitica, Utet, Torino.

[9] Freud S., 1915, Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, Opere vol. 8, Bollati Boringhieri, Torino.

[10] McGuire W., Hull R.F.C., (a cura di) 1977, Jung parla, trad. it 1995, Adelphi, Milano.

[11] ivi pag. 537.

[12] Jung C.G., 1930, Gli stadi della vita, Opere vol. 8, Bollati Boringhieri, Torino.

[13] Jung C.G., 1939, Psicologia e religione, Opere vol. 11, Bollati Boringhieri, Torino.

[14] Jung C.G., 1917, Psicologia dell’inconscio, in Opere vol. 7, Bollati Boringhieri, Torino.

[15] Weiss B., 1988, Molte vite, molti maestri, Oscar Mondadori, Milano.

Weiss B., 1993, Oltre le porte del tempo, Oscar Mondadori, Milano.

Weiss B., 1996, Molte vite, un solo amore, Oscar Mondadori, Milano.

Weiss B., 2001, Messaggi dei maestri, Oscar Mondadori, Milano.

[16] Weiss B., 1988, Molte vite, molti maestri, Oscar Mondadori, Milano.

[17] Weiss B., 1996, Molte vite, un solo amore, Oscar Mondadori, Milano.

[18] Weiss B., 1996, Molte vite, un solo amore, Oscar Mondadori, Milano.

[19] Weiss B., 1996, Molte vite, un solo amore, Oscar Mondadori, Milano.

[20] Jung, C.G., 1935, Pratica della psicoterapia, trad. it. 1981, Opere vol. 16, pag. 23, Bollati Boringhieri, Torino.

[21] ivi